#Carcere e #Coronavirus
La storia legata al coronavirus è tragica ed incerta nello stesso momento e colpisce tutte le categorie: è un virus democratico che non fa alcuna distinzione di razza, religione o ceto sociale. Il virus può colpire chiunque, anche quei soggetti che si vedono, per proprie colpe o per precedenti attività investigative, ristretti presso gli istituti carcerari italiani.
In una surreale e silenziosa piazza San Pietro del venerdì santo, Il Papa ha invitato cinque detenuti di Padova, una famiglia vittima di omicidio, la figlia di un ergastolano, un'educatrice, un magistrato di sorveglianza, la madre di un carcerato, una catechista, un sacerdote accusato ingiustamente, un frate volontario e un poliziotto: ognuno di loro commenta le stazioni della via crucis, rendendo ancora oggi più attuale il grido sordo che arriva dagli istituti penitenziari italiani.
All’interno delle strutture, le guardie carcerarie e i detenuti si ammalano del coronavirus, come se fossero liberi: quelle persone, lavoratori e non, che si ritengono sempre lontane dalla società poiché confinati, adesso, ancor di più, la loro condizione è attuale e spaventa.
Perché la diffusione di una malattia all’interno di una struttura, dove poco è garantito in termini di sicurezza sanitaria, terrorizza: sicuramente tra i detenuti non è permessa la distanza di sicurezza di almeno un metro e non vi sono i presidi di protezioni individuali, già difficilmente recuperabili per chi è all’esterno. A tutta questa scarsa sicurezza, si aggiunge l’impossibilità per i detenuti di rivedere i propri affetti, con i quali il legame viene accordato con un paio di telefonate in più o con il colloquio con il proprio difensore ove permesso, magari all’aria aperta o magari tramite qualche piattaforma digitale preventivamente autorizzata. Al detenuto non rimangono le notizie allarmanti provenienti da talk show e telegiornali.
In questo grido sordo di abbandono – se non fosse per la “rivolta” di alcune carceri che ormai risale a qualche settimana addietro -, è stato inserito l'art. 123 del decreto cd. “Cura Italia del 17 marzo 2020 disciplinando la detenzione domiciliare per il ristretto richiedibile sino al 30 giugno 2020 per l'espiazione della pena della reclusione non superiore a 18 mesi, anche se residuo di maggior pena, presso il domicilio indicato dal detenuto.
La domanda da rivolgere al Magistrato di Sorveglianza di competenza - ovvero in caso di rigetto della domanda presentata al Magistrato di Sorveglianza si potrà presentare impugnazione al Tribunale di sorveglianza competente- il quale dovrà valutare caso per caso la posizione del detenuto, anche riguardo allo stato di salute del predetto con patologie pregresse gravi tali da non poter trovare efficacia cura all’interno degli istituti di pena e che possa in qualche essere di pericolo per se o per gli altri - trova dei limiti in quanto la richiesta non può essere concessa:
- ai condannati per reati ostativi di cui all'art. 4-bis dell'Ordinamento Penitenziario e per coloro che si trovino condannati per i reati di cui agli artt. 572 e 612 bis c.p.;
- ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza;
- ai detenuti sottoposti al regime della sorveglianza particolare ovvero a quelli che nell’ultimo anno siano stati colpiti da sanzioni per infrazioni disciplinari all’interno dell’istituto carcerario e ai detenuti nei cui confronti sia stato redatto rapporto disciplinare per la partecipazione o il coinvolgimento nelle sommosse avvenute nelle carceri italiane in relazione all'emergenza Coronavirus;
- quando vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero possa commettere altri delitti ovvero quando il domicilio indicato risulti inidoneo.
A corollario generale del richiamato articolo del decreto, vi è l’imposizione dell'utilizzo del braccialetto elettronico, almeno fino ai sei mesi di reclusione quale pena da espiare: proprio tale precisazione in merito al dispositivo elettronico si scontra con la reale operatività del norma introdotta con il decreto “Cura Italia” per la nota mancanza dei braccialetti elettronici e per la irrinnovata convenzione con la società di comunicazione per il controllo a distanza.
Non da ultimo in detto quadro, su ricorso di un detenuto veneto, l’Italia dovrà riferire alla Cedu – attivata con una procedura di urgenza - la predisposizione di tutte le norme al fine di tutelare la vita dei detenuti presso le carceri e come l’Italia abbia gestito l’emergenza del Corona virus in relazione alla detenzione.
Ad oggi non si conoscono le decisioni della Corte Europea, ma sicuramente l’Italia, già in una situazione di emergenza strutturale degli istituti di pena, non ne uscirà indenne da questa pandemia, anche per il totale abbandono in cui ha lasciato i detenuti.