La responsabilità della struttura sanitaria e Coronavirus
Dopo gli ultimi mesi di morti a causa di un virus inaspettato che ha modificato anche ogni più banale e semplice gesto quotidiano e davanti allo spiraglio di ritorno ad una agognata e seppur incerta normalità tra soggetti distanziati, in molte famiglie italiane si contano le vittime.
Ogni volta che vi è una vittima, i superstiti cercano un colpevole, anche per poter dare una giustificazione alla prematura e sconfortante dipartita del proprio familiare.
In questa pandemia, se sono individuabili certamente le migliaia di vittime, occorre comprendere se vi sia la possibilità di trovare eventuali colpevoli all’interno del sistema sanitario, comunque fortemente colpito.
Lo stato di emergenza veniva annunciato in Italia il 31 gennaio 2020. Dopo poco di un mese, l’Italia chiudeva entrando nella spettrale fase del lock down. Il governo ha provveduto a emettere provvedimenti, spesso discutibili, i medici ed il personale sanitario sono diventati “momentanei eroi”.
Ma l’anelata ricerca del colpevole ha comportato una crescita esponenziale, soprattutto nelle ultime settimane, di denunce nei confronti di medici e delle strutture sanitarie, siano pubbliche, private o non ospedaliere: ove riconosciuto il nesso di causalità i soggetti indagati potranno vedersi imputare – oltre le remote ipotesi dolose - il reato previsto all’art. 590 sexies del codice penale esclusivamente per colpa grave, senza voler considerare, almeno in queste riflessioni, dibattere sull’operatività dello scudo penale sanitario varato.
Le richiamate strutture, in caso di diffusione al loro interno del contagio, dovranno rispondere, in presenza delle doverose indagini della Magistratura, sia nei confronti del proprio personale dipendente (quale appunto datore di lavoro e per tali considerazioni si rimanda anche http://www.studiolegalegallo.it/p/approfondimenti/107-coronavirus-e-la-responsabilita-del-datore-di-lavoro ) ma anche nei confronti dei pazienti.
In effetti, si dovranno considerare essenzialmente due macro aree: il paziente che arriva come già infetto nella struttura ed il paziente che ha contratto il covid nella struttura.
Come noto, le strutture devono, secondo i parametri dettati anche dalla Legge Gelli ed in ossequio del contratto di spedalità, essere dotate di un sistema di risk management, che sia in grado di fronteggiare anche accadimenti sporadici ma verificabili, come avvenuto nel caso della recente pandemia: la struttura comunque risponderà economicamente anche degli eventuali danni derivanti dalla mala gestio del personale medico e paramedico, nei confronti dei quali potranno essere esperite le azioni di rivalsa.
Nel caso del paziente che giunga presso la struttura come malato covid, si dovranno verificare tutte le fasi di trattamento del malato, delle cure proposte allo stesso – adeguate alla conoscenza fino a quel momento acquisita - per evitare il propagarsi della malattia all’interno della struttura e nel rispetto del miglioramento delle condizioni di salute dello stesso.
Nel caso invece che il paziente ricoverato per altre patologie contragga il virus presso una struttura sanitaria, si dovranno verificare tutti gli strumenti adottati per arginare la diffusione della infezione nosocomiale e gli interventi svolti sul paziente una volta verificata la positività al virus.
Secondo il principio del neminem ledere e finché non venga in qualche modo dichiarata l’impossibilità di eseguire una prestazione sanitaria, la struttura deve essere organizzata in modo tale da garantire la cura del paziente nel migliore dei modi possibile, provvedendo a dotare il personale di tutti gli strumenti atti ad evitare la diffusione del contagio nonché prevedere strumenti di sanificazione tanto elevati quanto efficaci. Come avviene per le infezioni nosocomiali, la struttura, al fine di non incorrere anche nella cd. culpa in vigilando dovrà dimostrare di aver adempiuto a tutte le osservazioni di prevenzione e di organizzazione – utilizzando tutte le proprie risorse organizzative, di vigilanza e terapeutiche - e dimostrare inoltre che il contagio non sia avvenuto presso la propria struttura. Ben si comprende come tale prova sia assolutamente impraticabile qualora il paziente sia da tempo ricoverato presso la colpevole struttura. Per liberarsi da qualsiasi forma di colpa, poi, la struttura dovrebbe dimostrare di aver proposto per quel paziente l’isolamento, abbia provveduto alla sanificazione di ambienti o del controllo sulle condizioni di salute del personale medico e paramedico e della dotazione agli stessi dei DPI. La struttura dovrà altresì rispondere quando al paziente sia stata diagnosticato in ritardo la positività al contagio ovvero siano state in qualche modo sottovalutate le condizioni cliniche del paziente e non sia stato messo nelle condizioni di avere le cure più adeguate rispetto al peggioramento del proprio stato di salute.
All’interno di questa categoria, si possono considerare altre due sottocategorie: il paziente che ha contratto il coronavirus in ambito della struttura che guarisce, con o senza postumi, ed il paziente che ha contratto il coronavirus presso la struttura e che muore. Nel primo causo, si dovranno non solo valutare le già indicate capacità organizzative ma anche l’incidenza delle cure svolte su quel paziente e l’incidenza delle eventuali omissioni sui postumi della malattia, ove presenti e se riconducibili al caso del contagio.
Nel caso in cui vi sia il decesso del paziente, sicuramente si dovrà esaminare caso per caso confutando l’ormai noto “deceduto per il coronavirus” e del “deceduto con il coronavirus”, ossia la valutazione delle eventuali altre cause – oltre quella del contagio - che hanno comportato la morte del paziente: il tema si sposta infatti sulla imprevedibilità ed inevitabilità del contagio, sulla tempestività dell’intervento farmacologico ed assistenziale e sull’adeguata applicazione in concreto anche delle linee predisposte dal Ministero della Sanità per il covid19.
Sicuramente siamo davanti a scenari aperti, in cui le strutture avranno l’obbligo di dare risposte concrete ai familiari delle vittime sulla gestione di tutti i pazienti che abbiano contratto il virus, che siano guariti, anche con postumi o addirittura deceduti affrontando il tema del risarcimento del danno per tutti i danneggiati.