BAR E RISTORANTI. PEDANE E TAVOLI ALL’APERTO SI O NO?
BAR E RISTORANTI. PEDANE E TAVOLI ALL’APERTO SI O NO?
In ossequio alla normativa emergenziale - a seguito della diffusione del noto virus COVID-19 - succedutasi per aiutare, “ristorare” e preservare anche le attività di ristorazione, Roma Capitale rendeva noto come dal 28 maggio 2020 fosse attiva, sulla Piattaforma informatica GET, la procedura per la presentazione on line delle domande di rilascio nuova occupazione suolo pubblico e delle domande di ampliamento di occupazione suolo pubblico già autorizzate, sostituendo il precedente sistema di inoltro tramite pec.
Occupazione di suolo pubblico attraverso la realizzazione di piattaforme, dehors e pedane allestite all’esterno dei locali con i tavolini per servire all’aperto, diventate di vitale importanza per le attività di bar e ristorazione, già vittime di blocchi e chiusure perpetratasi per mesi, necessarie per poter tornare a lavorare per coprire almeno i costi fissi.
Il problema tuttavia, ancora oggi, risulta essere la normativa di settore, incredibilmente confusa così come confuse sembrano essere allo stato le decisioni del TAR Lazio in materia.
Purtroppo molti locali si sono visti recapitare il diniego della SCIA a suo tempo richiesta, con le motivazioni più disparate, in quanto la pedana era stata realizzata in strada di viabilità principale piuttosto che su strisce blu o in quanto avrebbe impedito la visibilità di segnaletica stradale.
L’interpretazione del Tribunale preposto non sembra conforme agli articoli del codice della strada.
Vediamo di fare un po’ di chiarezza:
- Violazione dei diritti costituzionalmente garantiti con conseguente palese discriminazione sociale, disparità di trattamento e ingiustizia manifesta.
Si rileva in primis una disparità di trattamento tra fattispecie proceduralmente considerate identiche dal legislatore. E’ contenuta nel DL n. 34 /2020, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 19 maggio, la norma (articolo 181) che prevede l’esonero parziale dal pagamento di Tosap e Cosap da parte delle imprese di pubblico esercizio titolari di concessioni o di autorizzazione concernenti l’utilizzo di suolo pubblico. La disposizione, chiaramente di natura emergenziale, temporanea ed eccezionale, ha la duplice finalità di favorire la ripresa delle attività economiche sospese con il DPCM del 10 Aprile 2020 e che a decorrere dal 18 maggio u.s. – con l’entrata in vigore del DPCM del 17 maggio u.s. – hanno potuto riaprire i propri esercizi commerciali, nonché di favorire il rispetto delle misure di distanziamento connesse all’emergenza da COVID-19 stabilite dal Governo nel succitato DPCM. Sono destinatarie dell’esonero dal pagamento, le imprese di pubblico esercizio di cui all’art. 5 della legge n. 287/1991, titolari di concessioni o di autorizzazioni concernenti l'utilizzazione del suolo pubblico, tenuto conto di quanto stabilito dall’articolo 4, c. 3- quater, del decreto-legge n. 162/2019, convertito con modificazioni dalla Legge n.8/2020, 2 con riferimento al pagamento della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al Capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 e dal canone di cui all’art. 63 del D.lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997. Coerentemente con le finalità della norma che, come precedentemente detto sono di carattere sia economico che sanitario, l’esonero di cui al comma 1 trova applicazione anche con riferimento alle nuove concessioni per l’occupazione di suolo pubblico oltre che all’ampliamento delle superfici già concesse, presentate dal 1° maggio al 31 ottobre. La motivazione logico giuridica di tale interpretazione risiede nel fatto che il comma 2 della disposizione, che disciplina la semplificazione della procedura, fa riferimento ad entrambe le fattispecie e che, diversamente opinando, si produrrebbe una ingiustificata e dichiarata disparità di trattamento tra fattispecie proceduralmente considerate identiche dal legislatore. La norma infatti - sempre al fine di favorire la ripresa delle attività economiche sospese per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 - semplifica il regime autorizzatorio in materia di occupazione di suolo pubblico ovvero di ampliamento delle superfici già concesse introducendo – per un periodo transitorio che va dal 1 maggio al 31 ottobre p.v. - una procedura “speciale” che ritiene sufficiente, per l’emanazione del provvedimento finale, una semplice domanda, per via telematica, all’ufficio competente dell’ente locale, con allegata la sola planimetria, in deroga al DPR 160/2010 e senza applicazione dell’imposto di bollo di cui al DPR N. 642/1972.
La norma introduce dunque direttamente deroghe alle disposizioni statali e regolamentari già adottate dal Comune, ed è pertanto di immediata applicazione.
Il PGTU2015 REGOLAMENTO VIARIO individua e definisce, all'interno degli ambiti territoriali di cui al pgf. 2, ulteriori tipologie di strade con caratteristiche intermedie (sottotipi) rispetto ai tipi principali di cui al punto 4.1 e precisamente:
e) strade urbane di scorrimento veloce (assimilate al TIPO A) con caratteristiche intermedie tra autostrade (tipo A) e strade urbane di scorrimento (tipo D);
f) strade urbane interquartiere (assimilate al TIPO D) con caratteristiche intermedie tra strade urbane di scorrimento (tipo D) e strade urbane di quartiere (tipo E);
g) strade interzonali (assimilate al TIPO E) con caratteristiche intermedie tra strade urbane di quartiere (tipo E) e strade locali (tipo F).
Questi tre sottotipi di strade urbane rappresentano, in particolare, l’adattamento alla situazione esistente dei primi tre tipi di strada (identificantesi come viabilità principale); ad essi si assegnano le stesse funzioni dei tipi originari di appartenenza e contestualmente si accetta che tali funzioni vengano svolte ad un livello di servizio più modesto, attraverso la deroga su alcune caratteristiche dei tipi
- l'art. 20 del D.Lgs. n . 285 del 30 aprile 1992, con cui è stato emanato il Codice della Strada, è dedicato alla “Occupazione della sede stradale” e detta al riguardo le seguenti prescrizioni: «1. Sulle strade statali di tipo A) [autostrade], B) [strade extraurbane principali], C) [strade extraurbane secondarie] e D) [strade urbane di scorrimento] è vietata ogni tipo di occupazione della sede stradale, ivi compresi fiere e mercati, con veicoli, baracche, tende e simili; sulle strade di tipo E) [strade urbane di quartiere] ed F) [strade locali] l’occupazione della carreggiata può essere autorizzata a condizione che venga predisposto un itinerario alternativo per il traffico ovvero, nelle zone di rilevanza storico-ambientale, a condizione che essa non determini intralcio alla circolazione.
- L’ubicazione di chioschi, edicole od altre installazioni, anche a carattere provvisorio, non è consentita, fuori dei centri abitati, sulle fasce di rispetto previste per le recinzioni dal
regolamento. - Nei centri abitati, ferme restando le limitazioni e i divieti di cui agli articoli ed ai commi precedenti, l’occupazione di marciapiedi da parte di chioschi, edicole od altre installazioni può
essere consentita fino ad un massimo della metà della loro larghezza, purché in adiacenza ai fabbricati e sempre che rimanga libera una zona per la circolazione dei pedoni larga non meno
di 2 m. Le occupazioni non possono comunque ricadere all’interno dei triangoli di visibilità delle intersezioni, di cui all’articolo 18, comma 2. Nelle zone di rilevanza storico-ambientale, ovvero
quando sussistano particolari caratteristiche geometriche della strada, è ammessa l’occupazione dei marciapiedi a condizione che sia garantita una zona adeguata per la circolazione dei pedoni e
delle persone con limitata o impedita capacità motoria. »
In riferimento alle attività di somministrazione di alimenti e bevande con la deliberazione n. 30 dell’1 giugno 2017 l’Assemblea Capitolina aveva approvato il Nuovo Regolamento delle attività commerciali sulle aree pubbliche di Roma Capitale. Il Presidente della X Commissione Commercio Andrea Coia, che ai sensi dell’art. 52 del Regolamento Consiglio Comunale si è fatto promotore della 8° proposta di iniziativa consiliare, che è stata poi approvata della Assemblea Capitolina con deliberazione n. 29 del 28 marzo 2018.
L’art. 4 quater del Regolamento: il successivo comma 8 stabilisce che: «I piani di cui al comma 7, prevedono, ad esito delle verifiche di cui al successivo comma 9, la permanenza delle occupazioni di suolo pubblico ubicate sulle sedi stradali della viabilità principale nei casi di seguito specificati:
a) su aree riservate alla sosta ed opportunamente recintate con elementi fissi ed aventi accessi ed uscite ben definiti;
b) su marciapiedi, a condizione che non ricadano in uno dei punti d), e), f), g), h) del comma 4 o su strade classificate di scorrimento e che la zona rimasta libera per il transito pedonale sia tale che i pedoni possano defluire liberamente e non si rechi intralcio al traffico e/o pericolo per la sicurezza. I marciapiedi devono essere comunque di larghezza non inferiore a quanto previsto dal Nuovo Codice della Strada.
All’infuori dei casi previsti alle lettere a) e b), i piani medesimi prevedono il trasferimento sulla viabilità locale o su altre aree ritenute idonee. »
Il successivo comma 9 prevede che «la permanenza sulla viabilità principale delle occupazioni di suolo pubblico di cui ai punti a) e b) del precedente comma 8 è subordinata alla verifica, da eseguirsi su strada a cura dei Municipi territorialmente competenti, che la loro presenza non inneschi fenomeni di sosta illegale, anche di brevissima durata, con conseguente riduzione della fluidità del traffico e della sicurezza della circolazione. Dovrà altresì essere attentamente valutata la loro eventuale influenza negativa sulla regolarità del servizio di trasporto pubblico.»
Il che significa che le citate OSP insistenti sulla viabilità principale saranno, in generale, mantenute, salvo l’eccezione della eventuale verifica, nei singoli casi, di influenze negative sulla circolazione nel senso sopra specificato (e comunque in attesa di tale verifica).
Dunque le OSP già esistenti saranno mantenute, diversamente accade alle nuove richieste e ciò in barba all’art. 97 della Costituzione e quindi al noto principio del buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione.
A tal riguardo c’è da far presente che secondo l’art. 4 del Regolamento Viario del Comune di Roma «in particolare con il termine “viabilità o rete principale” si intende (secondo quanto previsto dalle Direttive ministeriali sui PUT del giugno 1995) l’insieme di tutte le strade non a carattere locale. »
Ma il comma 1 dell’art. 20 del D.Lgs. n . 285/1992 consente l’occupazione di suolo pubblico solo sulle strade urbane di quartiere (E) che vengono fatte rientrare nella “viabilità principale”.
L’amministrazione nel salvaguardare e tutelare l’interesse pubblico non può non considerare e valorizzare diritti costituzionalmente garantiti ed in particolare quello dell'articolo 41 che ne richiama anche il valore sociale: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.” L'articolo 1 che richiama il valore fondamentale del lavoro: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”
Di fatto, tutte le attività di ristorazione coinvolte si sono viste costrette a richiedere l’occupazione di suolo pubblico, non avendo un proprio dehors all’aperto servente il locale commerciale, e quindi al fine di poter continuare a lavorare, considerando che fino al 31 maggio 2021, oltre il delivery, l’unica possibilità per continuare l’attività commerciale era quella di servire all’esterno e non è dato sapere se dopo il 6 agosto 2021 a seguito dell’emanazione del nuovo decreto del governo chi non ha la possibilità di servire all’esterno potrà o meno continuare a lavorare, forse solo con i clienti aventi il green pass..
Occorre ricordare come l’imparzialità è un valore fondamentale della pubblica amministrazione. Lo stabilisce esplicitamente l’articolo 97 della Costituzione. Il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione presuppone necessariamente l’imparzialità dell’attività amministrativa. In particolare, il secondo comma del medesimo articolo introduce un vero e proprio obbligo dello Stato, secondo cui si deve realizzare politiche tese a rimuovere ogni situazione che possa essere fonte di discriminazioni.
Diritti costituzionali inviolabili quelli sopra citati il cui valore non può non ritenersi amplificato in questo periodo pandemico ed emergenziale, nel quale il distanziamento sociale, la riduzione dei coperti degli esercizi di somministrazione e soprattutto l’impossibilità di utilizzare gli spazi interni dei locali, li comprimono inevitabilmente. Di fatto l’impossibilità di poter utilizzare spazi esterni, pur avendone la possibilità, semplicemente per il rigetto della concessione OSP da parte dell’amministrazione comunale, in questo periodo storico, è di chiara evidenza una violazione del diritto al lavoro e ad avere una vita dignitosa per sé e per la propria famiglia.
“Dopo la presentazione di una Scia, il potere inibitorio tout court della P.A. deve essere esercitato nel termine di giorni 60 dal ricevimento della segnalazione, così come previsto dall’art. 19, comma 3 della legge 241 del 1990. La giurisprudenza amministrativa ha più volte affermato la natura perentoria del termine per l’esercizio del predetto potere, sicché “ il decorso dei termini previsti per l'esercizio del potere inibitorio circa i lavori oggetto di s.c.i.a. o di d.i.a. comporta la definitiva consumazione del potere inibitorio stesso e il consolidamento della situazione soggettiva del dichiarante/segnalante, residuando in capo all'amministrazione, a fronte di un'attività avviata al di fuori delle condizioni normativamente previste, i soli poteri di autotutela”.( TAR Puglia – BARI, SEZIONE TERZA, SENTENZA 18 giugno 2020, n. 867).
Come noto, la legge 124/2015 ha modificato il comma 3 e 4 dell'art.19 della legge 241/90 in materia di segnalazione certificata di inizio dell'attività.
La nuova disciplina stabilisce che, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di legge per lo svolgimento dell'attività soggetta a SCIA, nel termine di 60 giorni dal ricevimento della scia, l'amministrazione adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa salvo che non sia possibile conformare l'attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente; nel qual caso, l'amministrazione, invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie per la conformazione con la fissazione di un termine non inferiore a 30 giorni nonché disponendo, nel frattempo, la sospensione dell'attività intrapresa. Dispone, infatti, il nuovo comma 3: L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere, disponendo la sospensione dell’attività intrapresa e prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure stesse, decorso il suddetto termine, l’attività si intende vietata.
Nel nuovo testo del comma 3 dell'art. 19, il divieto di prosecuzione e la rimozione degli effetti dannosi dell'attività intrapresa possono essere pronunciati solo ove non sia possibile, la conformazione a legge; di conseguenza , è evidente che, in caso di accertata carenza dei presupposti e dei requisiti di legge, nei 60 giorni dal ricevimento della segnalazione, l'amministrazione dovrà innanzitutto valutare la possibilità di conformare a legge l'attività intrapresa, e solo ove non fosse possibile alcuna misura di conformazione, motivando proprio su tale impossibilità di conformazione, l'amministrazione potrà legittimamente vietare in modo definitivo la prosecuzione dell'attività.
L'atto motivato di divieto, dunque, dovrà essere motivato proprio con riferimento alle ragioni dell'impossibile conformazione mentre l'atto motivato di conformazione, dovrà spiegare le corrispondenza alla legge delle misure di conformazione individuate fissando per la loro realizzazione un termine congruo.
Il nuovo comma 4 dell'art.19 stabilisce che decorsi i 60 giorni dal ricevimento della segnalazione senza che l'attività intrapresa sia stata vietata ovvero senza che siano state ordinate misure per la conformazione a legge, l'amministrazione competente può adottare comunque i medesimi atti (cioè l'atto di divieto ovvero la sospensione dell'attività e le misure di conformazione) in presenza delle condizioni previste dal 21nonies, vale a dire ove sussistano ragioni di pubblico interesse da considerarsi prevalenti rispetto agli interessi dei destinatari e dei controinteressati, nonché entro un termine ragionevole, comunque non superiore a 18 mesi. Dunque dal 28 agosto 2015, pur in presenza di ragioni di pubblico interesse superiori e prevalenti rispetto alla sfera degli interessati e dei controinteressati, tuttavia oltre il termine di 18 mesi, l'amministrazione competente non potrà più né vietare l'attività intrapresa e neppure predisporre misure per la sua conformazione a legge con contestuale sospensione. Il termine di 18 mesi decorre non dal ricevimento della SCIA bensì dalla scadenza dei primi 60 dal ricevimento della SCIA, ossia dalla scadenza del termine per adottare i motivati provvedimenti di divieto o di conformazione con sospensione senza alcun bisogno di motivazioni sull'interesse pubblico prevalente in bilanciamento con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Il secondo termine di 18 mesi dunque può essere esercitato dall’amministrazione se sostenuto dalla sussistenza di un interesse pubblico rilevante.
Come rilevato dal TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 21 aprile 2016 n° 2106, tale potere residuale per la P.A procedente deve, peraltro, essere esercitato secondo i principi regolatori legislativamente sanciti, in materia di autotutela, con particolare riferimento alla necessità dell'avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere
La Corte Costituzionale con la sentenza del 13 marzo 2019 n°45 "Come è noto, l’art. 19 della legge n. 241 del 1990 prevede che all’immediata intrapresa dell’attività oggetto di segnalazione si accompagnino successivi poteri di controllo dell’amministrazione, più volte rimodulati, da ultimo dall'art. 6 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (deleghe al governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).In particolare, il comma 3 dell’art. 19 attribuisce alla PA un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA, dando la preferenza a quelli conformativi, “qualora sia possibile”; mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili 2in presenza delle condizioni” previste dall'art. 21- nonies della stessa legge n. 241 del 1990.Quest’ultimo, a sua volta, disciplina l’annullamento in autotutela degli atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi. Il comma 6-bis dell’art. 19 applica questa disciplina anche alla Scia edilizia, riducendo il termine di cui al comma 3 da sessanta a trenta giorni. (...omissis...)
Il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell’attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una – sia pur importante – parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi. Una dilatazione temporale dei poteri di verifica per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell’istituto all'area amministrativa tradizionale che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere".(Considerato in diritto 8.3) “Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall'art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all'art. 21-novies)". Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all'esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue".
Ad oggi molti ristoratori si trovano nella condizione di non saper se rimuovere o meno le pedane realizzate, se pagare le multe ricevute, se lo stato emergenziale viene prorogato così come il divieto di servire all’interno.
I legislatori non stanno dando prova di impegno e coerenza legislativa, creando ulteriore confusione in un momento in cui la nostra economia, quella europea e quella mondiale, subiscono le conseguenze di una emergenza pandemica che sembra non finire mai.
Moltissimi ristoratori ed altrettante piccole attività a livello familiare e non, del settore, hanno chiuso e non hanno più riaperto. Molti lavoratori si sono trovati in cassa integrazione, altri senza lavoro, tutto il comparto ha subito gravi perdite e sinceramente ha ricevuto davvero poco o niente a titolo di ristoro. L’interpretazione delle norme intervenute, seppur contrastanti con le precedenti o comunque atte a creare inevitabile confusione, non potrà che essere a favore del comparto, in quanto la ratio legis, l’intenzione del legislatore era quella di consentire in qualche modo a tutti i bar e ristoranti di continuare a portare avanti la loro attività e non chiudere magari definitivamente.
