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Bancarotta e l'amministratore di fatto

Contenuto a cura
dell'Avv.
Data creazione: 19 Nov 2018
Data ultima modifica: 19 Nov 2018

Fornire parametri che consentano l’identificazione della figura dell’amministratore di fatto rimane una importante quanto difficile problematica affrontata dalla  giurisprudenza soprattutto in funzione dell’attribuzione allo stesso della responsabilità penale per i reati  propri fallimentari.

In tal senso, un pronunciamento utile veniva fornito dalla Suprema Corte in cui si affermava che in tema  di bancarotta fraudolenta i destinatari delle norme di cui alla L. Fall., artt., 216 e 223, vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già riportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere  in adempimento alla qualifica ricoperta ( Cass. Pen. Sez. V, n. 45671/2013).

Più importante ed incisiva risulta essere successivamente una pronuncia della Suprema Corte (Cass. Pen. Sez III, n. 31906/2017) che forniscemaggiori indicazioni, necessarie al fine di meglio delimitare la figura dell’amministratore di fatto, utilizzando come elemento per la sua definizione le condotte poste in essere dallo stesso.  La Corte precisa che “ per delineate la figura dell’amministratore di fatto è necessario attingere ai criteri dettati dall’art. 2639 c.c.. l’amministratore di fatto  è dunque colui il quale eserciti in modo continuato e significativo i poteri tipici inerenti alla  qualifica o alla funzione.“Significatività” e “ continuità”  non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria svolta in modo non episodico od occasionale.

 Di uguale indirizzo, ma ancora più esaustiva anche riguardo al profilo della responsabilità dell’amministratore di fatto, la pronuncia della Suprema Corte n° 27163/2018.

La stessa in tema di rilevanza dell’amministratore di fatto della società per l’attribuzione di soggetto attivo dei reati propri fallimentari, prende le mosse dall’art. 2639 c.c., dettato in materia di reati societari,  equiparando al soggetto formalmente  investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge  civile anche colui che esercita in modo continuativo e significativo di poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. “Significatività” e “ continuità”  non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria svolta in modo non episodico od occasionale.

La prova della posizione di amministratore di fatto, pertanto, si traduce nell’accertamento in sede processuale  di elementi sintomatici di gestione  e dell’inserimento organico del soggetto con funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa o commerciale dell’attività, quali: il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori della società , la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, i rapporti con i dipendenti, i fornitori, i clienti  o in qualunque settore gestionale di detta attività.

Pertanto, il soggetto che assume la qualifica di amministratore di fatto della società fallita, è da ritenere gravato dalla intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto, per cui, ove concorrano le condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili( come i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale) tra i quali vanno ricomprese le condotte dell’amministratore di diritto, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia di fronte a tali condotte, in applicazione dell’art. 40 c.p. co 2°.


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